martedì 23 giugno 2009

In difesa dell'identità del vino Cirò

Giro un invito a firmare la petizione on line a difesa della denominazione Cirò. Mi domando quando l'Italia riuscirà a fare sistema e a valorizzare il proprio patrimonio di vitigni autoctoni....

In difesa dell'identità del vino Cirò

Da mesi si discute sull'opportunità di modificare il disciplinare di produzione del Cirò DOC. Attualmente il disciplinare prevede l'utilizzo del Gaglioppo nella misura minima del 95% e del Greco Bianco o Trebbiano per il restante 5%.
Nella proposta di modifica avanzata dal Consorzio di Tutela del Cirò e Melissa si prevede la possibilità di utilizzare oltre al Gaglioppo tutte le varietà a bacca rossa autorizzate dalla Regione Calabria nella misura massima del 20%.
Tra queste varietà sono presenti vitigni internazionali quali Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot che nulla hanno a che vedere con la tradizione vitivinicola del Cirò.

Bisogna chiarire subito che la denominazione di origine (DOC) è un bene collettivo. Un bene pubblico e proprio per questo normato da apposite leggi dello Stato. La DOC infatti rappresenta il vino di un territorio delimitato ed esprime le caratteristiche di tipicità di quel determinato “terroir”.

Queste caratteristiche includono, oltre alle condizioni pedoclimatiche, la storia, la tradizione e la cultura vitivinicola di un territorio, definendo l'identità del vino prodotto in quel territorio, in questo caso del Cirò, come prodotto unico ed irripetibile.

L'utilizzo di varietà internazionali (in quantità rilevanti come proposto nella modifica) porta ad uno svilimento dell'identità territoriale e all'omologazione del prodotto.

Perché allora un consumatore del nord Italia o estero dovrebbe ricercare il Cirò se le sue caratteristiche sono simili a mille altri vini? Perchè dobbiamo decirotizzare il Cirò? Perchè dobbiamo parificare la DOC Cirò alle IGT presenti sul territorio? Perché centinaia di produttori devono rinunciare alla loro identità di Cirotani?

Oltretutto per rispondere ad una presunta esigenza di mercato e di gusto globalizzato, le aziende vitivinicole dispongono già delle denominazioni IGT, che prevedono ampiamente l'uso di varietà internazionali.

La globalizzazione può rappresentare un'opportunità se permette la conoscenza e il confronto di prodotti e culture differenti, è deleteria invece se propone l'appiattimento dei valori e la perdita di identità.

Si può e si deve ri-guardare il territorio: averne riguardo e tornare a guardarlo; riallacciare con il presente saperi sapori e risorse del passato, senza nostalgie, permettendo una continuità con il futuro.

Ri-guardando nei vigneti del cirotano si riscontra che il Gaglioppo è sempre stato predominante, tanto che in altre zone della Calabria veniva denominato anche come “Cirotana”. In un passato non tanto lontano poi, erano presenti in piccole quantità altri vitigni (Greco nero, Malvasia nera, 'Mparinata, Pedilongo, ecc.) che davano al vino maggiore complessità organolettica e miglioravano la tonalità del colore.

Recenti ricerche scientifiche hanno evidenziato le potenzialità enologiche del vastissimo patrimonio ampelografico calabrese, a dimostrazione che il ricorso alle varietà internazionali non è una scelta obbligata.

La forza del vino italiano, quindi anche del Cirò, risiede nella complessità e nella varietà del patrimonio ampelografico autoctono che rappresenta una risorsa da valorizzare piuttosto che da sacrificare.

Chiediamo pertanto che in un'eventuale modifica del disciplinare del Cirò Rosso Doc vengano autorizzate oltre al Gaglioppo esclusivamente varietà autoctone calabresi in quantità massima del 5%.

giovedì 18 giugno 2009

Cantine aperte 2009 - Conero e Morro d'Alba


Anche quest'anno è stato celebrato l'evento "Cantine aperte", e per l'occasione siamo andati nelle Marche, una regione e un territorio dal ricco patrimonio enologico di rara ampiezza ampelografico forse poco valorizzato. Basti pensare al verdicchio, vitigno autoctono nella duplice versione dei Castelli di Jesi e di Matelica, ma anche rosso conero (a base di Montepulciano e altri uvaggi come Sangiovese, Syrah, Cabernet, ecc), lacrima e a quel piccolo gioiellino della vernaccia di Serrapetrona.
Scorazzando in auto fiancheggiando da un lato dolci colline dalle linee morbide e sinuose, e dall'altro la costa marchigiana con le lunghe spiagge interrotte solo dal ripido profilo del Monte Conero, ci siamo diretti verso la zona di Morro d'Alba, patria del vitigno
lacrima, autoctono poco conosciuto, dai caratteristici profumi di rosa canina e frutti di bosco. Prima tappa, l'azienda Marotti Campi:
subito tra i filari di viti si staglia la splendida residenza ottocentesca di famiglia che domina i circa 54 ettari vitati dell'azienda. Chiedo subito ai gentili proprietari di poter assaggiare l'Orgiolo, lacrima in purezza, nella splendida espressione dell'annata 2006. Trovo un vino dal colore rosso rubino vivo che aggiunge ai classici profumi della lacrima fatti di chiari riconoscimenti floreali di violetta e rosa leggermente appassita e fruttati (more. lamponi e fragola), i profumi terziari speziati e tostati (pepe, vaniglia e cacao), donati dall'affinamento in legno. Da provare anche il Salmariano, da uve verdicchio provenienti dai vigneti di proprietà siti in Morro d'Alba (quindi fuori dalla zona classica dei castelli di Jesi) che affina in botte grande per 12 mesi, affinamento che gli regala morbidezza pur mantenendo una viva acidità e i classici riconoscimenti varietali agrumati tipici del vitigno. Non ancora sazi, o meglio ubriachi, facciamo tappa da un nome storico nella produzione di lacrima, e cioè Mancinelli. Qui decido di assaggiare la lacrima nella versione tradizionale: un vino da bersi giovane, che fa solo acciaio, dal colore rubino con riflessi violacei, e dai profumi di piccoli frutti di bosco, rosa e violetta, non molto persistente. La vera e propria chicca però è il Lacrima Terre de Goti (Marche igt). Vinificato raccogliendo uve lacrima maturate tardivamente, fermentate in acciaio e lasciate maturare 3 anni in legno. Rubino denso concentratissimo, sviluppa un ventaglio di profumi intensi di confettura di frutti di bosco, viola appassita, spezie e cacao in polvere. Di gran corpo, in bocca spicca una grande morbidezza e dote alcolica, equilibrate comunque da una freschezza gustativa e una ancora viva tannicità. Per essere un vino nato per sbaglio, come mi ha confessato il produttore, vale veramente la pena.
Muovendoci verso il monte Conero, zona di elezione del Rosso Conero doc, dove il terreno argilloso-calcareo, l'esposizione dei vigneti a sud/sud-est e la vicinanza del mare regalano al montepulciano, vitigno base del rosso conero, particolari rimandi marini/salmastri, struttura e scheletro, ho pensato di fare un salto da Silvano Strologo, per assaggiare i suoi Decebalus e Traiano (2005). Fermentati in legno con batonnage ed elevati in barrique di rovere francese, presentano lievi note fruttate ed esalazioni marine, buona sapidità e acidità, ma per questa annata prevale una sensazione di non piena maturazione polifenolica.

Passiamo quindi a visitare Fattoria Le Terrazze. A parte il gran casino che rende quasi impossibile una degustazione degna di questo nome e che fa pensare al senso di queste manifestazioni, provo per la prima volta i Sassi neri 2005, vino di punta dell'azienda ottenuto da uve montepulciano in purezza, il quale regala profumi di frutta a bacca rossa e note floreali, unitamente a una tipica nota marina e salmastra. In bocca è evanescente, di buona freschezza gustativa, ma è scarsa la dote tannica e alcolica. Anche il Chaos 2005 mi da una sensazione di non giusta maturazione polifenolica del Sassi neri. Parlando con vari produttori del luogo, sembra sia un difetto dell'annata 2005, e infatti mi consigliano di provare un 2004.
Seguo il consiglio, e infatti provo il Casirano 2004 di Leopardi-Dittaiuti, tipico esemplare di rosso conero doc, fatto da uve montepulciano con piccole percentuali di syrah e cabernet sauvignon. Si presenta con un rosso rubino un pò scuro e poco luminescente. All'olfatto vengono fuori note amare e speziate, cannella, note tostate, frutta cotta o comunque molto matura (prugna), mirtillo e ciliegia, unitamente a note marine. In bocca fa sentire tutto il suo corpo: buona freschezza e alcol che sono equilibrate da un tannino allappante anche se di qualità non eccelsa. Potrebbe dare di più nel finale. Effettivamente è comunque un'altra cosa rispetto all'evanescente 2004.
E dopo tutti questi assaggi, meglio andare a casa, se no l'etilometro ...!!!

Coda di volpe, un vitigno da valorizzare


La Campania non è solo Asprinio, Greco di Tufo, Fiano e Falanghina. La terra dei vulcani spenti è ancora in grado di presentare altri colpi. Parliamo del vitigno Coda di volpe che prende il nome dalla forma lunga e affusolata della pigna matura, oltre che dal colore generalmente carico del vino, simile, appunto, a quello del piccolo predatore terrore di quei contadini che ancora posseggono un pollaio. Si tratta di un vitigno autoctono antico, sconosciuto fuori dalla regione, ma molto diffuso in Irpinia nella zona di Taurasi, nel Sannio e sul Vesuvio, dove viene chiamato anche caprettone.
La storia della Coda di volpe non è misteriosa ma semplice: probabilmente di origine romana (è infatti citata da Plinio il Vecchio nel suo Historia Naturalis), nessuno sino al 1985 l’aveva etichettata in purezza perché veniva utilizzata soprattutto come uva da taglio per il Greco di Tufo e il Fiano. Ecco perché il blend classico in tutte le doc vede sempre i tre grandi vitigni bianchi abbinati in modo naturale alla coda di volpe, un po' come l'Aglianico è ammorbidito dal Piedirosso o dallo Sciascinoso. In questo modo i produttori dell’epoca risolvevano uno dei problemi più seri dei grandi vini irpini, l’elevato tasso di acidità dovuto al terreno vulcanico. In quegli anni in cui il vino campano era estraneo al circuito di qualità, pochissime le eccezioni, alcuni pioneri appassionati facevano esperimenti girando per le campagne: Leonardo Mustilli a Sant’Agata dei Goti puntava sulla Falanghina, vinificandola e imbottigliandola monovitigno, sempre nel Sannio, a Ponte, vicino Solopaca, nella valle coperta da chilometri e chilometri di vigneti che ha costituito una sorta di barriera corallina contro l’invasione del vino pugliese, Domenico Ocone era con Luigi Pastore alla ricerca di nuovi vitigni. Fu così che scoprirono le potenzialità della Coda di volpe ricorrendo a una potatura delle vigne per ottenere una bassa resa per ettaro, vinificazione in purezza con pressatura soffice usando tecnologia moderna, affinamento in bottiglia, e anticipando la vendemmia a metà settembre per ottenere un vino con maggiore acidità. Nacque così un vino ottimo, che ha davvero poco da invidiare agli altri bianchi campani, di buona produzione alcolica, dal colore giallo dorato, con un leggero aroma gradevole, non molto intenso. Nel primo anno di vita si rivela leggermente dolce; ma, invecchiato, assume un sapore asciutto e non molto ricco di corpo.
Agronomicamente la coda di volpe è un vitigno poco vigoroso con produzioni non eccessive, a maturazione raggiunge elevati livelli in zuccheri mentre l'acidità totale è piuttosto bassa: proprio per questo ci sono sempre stati molti dubbi sull'opportunità dell'uso del legno e la stragrande maggioranza dei produttori si è orientata per l'acciaio.
Alcuni, come Luigi Moio, pensa che si possa fare un grande vino bianco da invecchiamento e ha voluto la vinificazione in legno ottenendo davvero un buon risultato.
La zona del Taburno, su cui insistono due doc, Sannio e, appunto, Taburno, sembra essere particolarmente vocata per questo vitigno e, in generale, per le uve a bacca bianca oltre che per l'aglianico. L'esposizione a Mezzogiorno l'altezza, la ventilazione e l'escursione termica, il terreno vulcanico e argilloso costituiscono condizioni ideali per la produzione di questo vino.

Da aggiungere infine, la sua straordinaria faciliità di abbinamento a tutti i piatti della cucina moderna dell'alta ristorazione della Penisola Sorrentina. Si abbina così ai sushi di Vico Equense come alle tapas di Cetara con la colatura di alici, ma anche alle paste con i piselli, i fagioli, le zucchine, le patate, i ceci, le lenticchie della tradizione contadina meridionale adottata dalla gastronomia classica partenopea.

giovedì 11 giugno 2009

I Botri di Ghiaccioforte


Questa storia comincia quando Giancarlo Lanza, enologo, e Giulia Andreozzi, sommelier, rilevano nel 1989 una vecchia azienda agricola nel cuore della maremma toscana, precisamente nel comune di Scansano. I due sono animati da una grande passione per il mondo del vino, si mettono all'opera, ammodernano l'azienda originaria, innovano i sistemi di produzione e decidono di puntare fortemente su due fattori: biologico e tipicità delle produzioni. Nasce così "I Botri di Ghiaccioforte" dal nome della località dove sorge l'azienda, proprio di fronte all'abitato etrusco di Ghiaccio Forte. Dei sei ettari vitati complessivi, 4 sono coltivati con vitigni a bacca rossa: sangiovese per la maggior parte, ma anche prugnolo gentile, alicante e ciliegiolo; gli altri 2 con vitigni a bacca bianca: procanico, clone locale del trebbiano, malvasia e vermentino. Il risultato è la produzione di soli vini appartenenti alle doc caratteristiche locali e cioè Morellino di Scansano e Bianco di Pitigliano, tutti rigorosamente da agricoltura biologica certificata.


Le degustazioni

Morellino Riserva Vigna I Botri 2004 (90/100)
Sangiovese 85%, Ciliegiolo 10%, Alicante 5% - 14%

Il Morellino Riserva Vigna I Botri fa una lunga macerazione sulle bucce, poi affina per più di un anno in botti di rovere di Slavonia. Si presenta con un colore rosso rubino pieno. Al naso è intenso e molto complesso con profumi che spaziano dalle note balsamiche, speziate, sottobosco, fino a una componente fruttata fresca (ciliegia) che sembra sottolineare la "gioventù" di questo vino. In bocca è aristocratico, di grande eleganza con una morbidezza veramente notevole che equilibra molto bene un tannino setoso di ottima fattura e la buona acidità e sapidità. Finale persistente che avvolge il palato accarezzandolo dolcemente e lasciando la bocca pulita. Buon potenziale di invecchiamento. Degno esponente della doc Morellino e garante della tipicità delle produzione italiche.

Bianco di Pitigliano Ghiaccioforte 2007 (85/100)
Procanico 60%, Malvasia 30%, Vermentino 10%- 13,5%


Il Ghiaccioforte Bianco di Pitigliano doc (2007) è un vino ottenuto da un blend di uve vermentino, ansonica, trebbiano e malvasia. Si presenta con una veste giallo paglierino tendente all'oro, con una bella luminosità. Naso intenso e abbastanza complesso: emergono delicate note floreali di fiori bianchi e gialli (ginestra) e una componente fruttata che regalano al vino una certa dolcezza intrinseca. In bocca è decisamente alcolico, ma con una buona morbidezza, veramente notevole, che ne equilibra l'acidità. Acciaio. Ho assaggiato in anteprima l'annata 2008, prima che venisse imbottigliato: ammetto che è assolutamente straordinario, colore brillante, profumi straordinari intensi e quasi varietali, e soprattutto un'eleganza degna di un grande bianco francese!!


I Botri di GhiaccioForte
Azienda Agricola Biologica
Scansano (GR)
info@ibotridighiaccioforte.com

sabato 6 giugno 2009

Verdicchio di Matelica 2007 - Collestefano


Colle Stefano è un'azienda che produce vini bio in provincia di Macerata, precisamente nei dintorni di Matelica. Zona collinare, protetta a est e a ovest dall'Appennino umbro-marchigiano e caratterizzata da un microclima freddo e asciutto con elevate escursioni termiche, esprime un buon verdicchio dalle note sapide che lo caratterizzano e lo differenziano da quello coltivato nella zona dei Castelli di Jesi. Il Colle Stefano è un bianco dal netto colore giallo paglierino dai riflessi verdognoli, tipici del vitigno. Limpido, ma con una sensazione "ombrata", comunque non molto luminoso. Il naso è intenso e complesso: in primis si presenta preponderante la mineralità, poi emergono delicate fragranze floreali (biancospino), e infine note agrumate e di mela. In bocca ritorna alla grande la mineralità tipica del terroir sorretta da una buona spina acida e dalla dote alcolica che prevalgono sulla morbidezza, e che garantiscono un notevole potenziale di invecchiamento. Consistente e di buona struttura, con un finale abbastanza persistente. Matura tardivamente e viene raccolto a fine ottobre. Vinificazione in acciaio.

Verdicchio di Matelica 2007 (90/100)

Verdicchio 100% - 13%

Az. Collestefano
Castelraimondo (MC)
tel. 0737-640439
info@collestfano.com

Aglianico Riserva Vigna Cataratte 2003 - Fontanavecchia


Nel comprensorio del Taburno, e più precisamente nella zona di Torrecuso, dove la composizione, l'esposizione dei terreni e il microclima rendono questi territori particolarmente vocati per la produzione di vini di qualità, viene prodotto questo Aglianico in purezza, vino "tosto e coriaceo" quasi scontroso a rappresentare un pò il carattere di questa gente fiera della propria cultura e delle proprie tradizioni. All'esame visivo la Riserva Vigna Cataratte di Fontanavecchia è un vino dal colore rosso rubino molto denso e concentrato. Al naso rivela una buona intensità e complessità di profumi esprimendosi inizialmente su sentori di frutta rossa matura quasi confettura, spezie, tabacco, e proseguendo emergono note di liquirizia, note balsamiche e di catrame/grafite. Caldo e pieno in bocca, abbastanza morbido e di ottima struttura, con tannini aggressivi, ma non fastidiosi e di buona fattura. Lungo e piacevole il finale. Non può dirsi ancora equilibrato in quanto straborda di tannini che prevalgono un tantino sulla morbidezza, a testimonianza della notevole dote tannica di questo vino anche a distanza di 5 anni dalla vendemmia. Invecchia 2 anni prima di essere immesso in commercio, di cui 6/9 mesi in barrique di rovere francese. Assolutamente da provare con gli "ziti" spezzati al ragù di cinghiale. A mio parere uno dei migliori aglianico che abbia mai assaggiato.

Aglianico Riserva Vigna Cataratte 2003 (92/100)
Aglianico 100% - 14%

Az.agr. Fontanavecchia
via fontanavecchia -Torrecuso (BN)
0824-876275
info@fontanavecchia.info


venerdì 5 giugno 2009

Azienda vinicola "I Pentri"


Cominciamo questo mese un giro attraverso l'Italia alla ricerca di piccole cantine dove si produce vino di qualità, dove il vino è tradizione, amore per la terra ed i suoi frutti. Siamo sicuri di trovare chicche di cui nessuno ha sentito parlare completamente al di fuori dei circuiti commerciali delle guide; quei vini che quando vengono presentati a tavola è bello vedere le facce sbigottite degli amici che non crederanno mai quanto l'hai pagato.
Da fiero campano, non potevo non iniziare questo viaggio dalla "Campania in...felix" con l'azienda agricola "I Pentri".
Dal nome di una delle quattro tribù che costituivano il popolo dei Sanniti, il cosiddetto "popolo delle montagne", I Pentri rappresenta un progetto di viticoltura di qualità, dove Dionisio e Lia curano nei minimi particolari e con una attenzione al dettaglio quasi maniacale ogni fase del processo produttivo, dalla cura del vigneto alla vinificazione. Rese molto basse (ca. 70 q/ha) e un terroir favoloso di grande mineralità fanno il resto. Siamo nel Sannio Beneventano tra il monte Taburno e il massiccio del Matese: precisamente Castelvenere è il comune di ubicazione dei vigneti, che si estendono su circa 9 ettari. L'attenzione alla tradizione ha portato i nostri a concentrarsi su vitigni autoctoni come il piedirosso, del quale esistono vigne secolari, ma anche aglianico e sciascinoso tra i vitigni a bacca rossa, mentre tra quelli a bacca bianca, regina incontrastata è la falanghina, anche se vengono coltivati in piccola parte fiano e malvasia. In questa occasione abbiamo assaggiato i due vini di punta dell'azienda:

Flora Falanghina Beneventano IGT 2007
- 13,5 % -
(87/100)
Si presenta con una veste giallo paglierino carico tendente al dorato. Concentrato. Olfatto che si apre su note sulfuree, zolfose, per poi aprirsi su toni floreali (ginestra) e fruttati (pesca gialla e albicocca); infine emergono nuance speziate di cannella e miele. In bocca è corpulento, fresco, sapido, con una morbidezza "grassosa" tipica di un bianco affinato in barrique. Equlibrato. Persistente nel finale con una buona corrispondenza gusto-olfattiva. Solo acciaio. Da abbinare con un timballo di maccheroni in bianco.

Kerres Piedirosso IGT 2006 -
13% - (83/100)
Rubino scuro denso e concentrato. Naso che presenta evidenti sfumature di confettura rossa condite da note scure e speziate di pepe e sottobosco, e ricami di toni balsamici. Sorso compatto e abbastanza morbido, con tannini ruvidi e amari che sottolineano l'impatto della barrique, altrettanto evidente nel finale vanigliato e abbastanza persistente. Tannini e alcol non completamente assorbiti dalla struttura del vino. Invecchia 12 mesi in barrique di rovere francese. Provare con una classica grigliata mista di carne.

Azienda Agr. I Pentri
Via Nazionale Sannitica, km 72
Castelvenere (BN)
0824-940644

Fiano, nobile vino campano


I vini campani hanno rappresentato nell’epoca classica, ad opinione comune di tutti gli storici, il meglio della produzione di tutto il mondo allora conosciuto. Nel corso del tempo, la Campania ha comunque saputo, come poche altre regioni d’Italia, operare nella direzione della tutela e valorizzazione della sua tradizione viticola, preservando a pieno il patrimonio varietale autoctono: si è potuta così mantenere in vita una produzione di vini inimitabili ed originali.
Il riconoscimento della DOCG ai tre vini irpini Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo rappresenta senza dubbio una riprova della validità di questa scelta di politica vitivinicola, certo difficile e impegnativa, ma che nel tempo si è dimostrata avveduta e lungimirante.
Il Fiano di Avellino DOCG è caratterizzato da una base ampelografica nitida e schietta: si ricava dalla antica varietà Fiano in purezza. Sebbene abbia trovato la sua piena valorizzazione in Irpinia, il Fiano rientra come vitigno principale, nella composizione ampelografica dei vini doc Cilento Bianco e Sannio Fiano. In tali zone il vitigno è presente in aree limitate, anche se è in forte espansione.
Ultimamente, ad un’analisi più critica che in passato, appare controversa l’etimologia del nome del vitigno: sembra infatti superato l’accostamento, molto accreditato in passato, tra il Fiano e le uve Apianae, quelle che Columella e Plinio descrivono nei loro trattati come predilette dalle api per la loro dolcezza. Tuttavia opinione comune è che la sua presenza nell’attuale zona di produzione risalga a epoche davvero remote: se le prime notizie sicure giunte a noi lo danno, sotto il Regno di Federico II di Svevia e quello di Carlo II d’Angiò, come l’uva da piantare per le vigne reali (dagli archivi dell’epoca risulta un ordine di ben 16.000 viti di tale varietà), allora la sua fama di grande vitigno doveva essere già ben consolidata in quel lontano XII secolo a cui appartengono quelle prime citazioni sicuramente riconducibili ad esso.
Qui la Vitis Apianae ha mosso i primi tralci, ha allungato i suoi primi pampini tra il sole e la terra della provincia di Avellino. Un percorso, quello sulle tracce del Fiano, che si snoda tra importanti parchi naturali e luoghi disegnati dalla natura unici e suggestivi, come il Vallone Matrunolo e l’Alta Valle del fiume Sabato. La sua culla si ritiene essere stata Lapìo (l’antica Apia, da cui forse la definizione Apianum), piccolo comune poggiato sulle sinuose colline dell’Irpinia a 600 metri sul livello del mare, da dove il Fiano si sarebbe esteso nel corso degli anni all’attuale zona di produzione prevista dal disciplinare (26 comuni) che orbita intorno al capoluogo della provincia, Avellino. E la capillare colonizzazione del pur ristretto territorio, avvenuta ad opera della varietà nel corso dei secoli, non può oggi che rassicurarci, se ancora ne sentissimo il bisogno, sulla sua forte connessione con la zona di produzione: segno inequivocabile, certamente, di adattamento antico alla geografia dei luoghi, ma soprattutto del fatto che viticoltori di antica sapienza lo ritennero vitigno superiore ed insostituibile nel corso di millenni di storia, quando il principale motore della empirica selezione genetica praticata dall’uomo era la ricerca della qualità organolettica senza compromesso alcuno.
Il legame di questo vitigno con il territorio è quindi indiscusso; superato il difficile periodo degli anni ‘60 e ‘70, in cui si è rischiato di perdere per sempre il patrimonio viticolo tramandatoci dagli antichi, una caparbia azione di recupero ha riportato il Fiano tra i vitigni più coltivati nella provincia di Avellino. Oggi infatti, la produzione del vino così come la superficie iscritta all’Albo ufficiale dei vigneti sono in costante crescita: circa 300 aziende con oltre 300 ettari, contro i soli 47 ettari del 1990, pongono il Fiano di Avellino ai primi posti per quantità prodotte tra i V.Q.P.R.D. campani.
Il vitigno sembra esprimersi al meglio con i sistemi di potatura lunga o mista come il Guyot, che viene adottato per i nuovi impianti; tuttavia negli impianti più datati sono ancora presenti sistemi di allevamento tradizionali, e a volte anche vigneti promiscui. Presenta inoltre una buona fertilità delle gemme ed ha una produzione non eccessiva per il leggero peso del grappolo: in genere si oscilla tra i 60 e gli 80 quintali per ettaro. L’acino ha buona resistenza alle muffe grazie alla buccia spessa, il che favorisce anche una vendemmia più tardiva effettuata tra la seconda e la terza decade di ottobre.
Per la Docg Fiano è consentita l’aggiunta non superiore al 15 % di altri vitigni a bacca bianca come il greco, la coda di volpe e il trebbiano toscano. Soprattutto questi ultimi due venivano regolarmente utilizzati dai contadini per abbassare l’acidità eccessivamente alta sia nel Fiano che nel Greco di Tufo; problema risolto anche ritardandone semplicemente il consumo, che per questo motivo avveniva tradizionalmente a due anni circa dalla vendemmia. Ancora oggi alcune piccole aziende preferiscono ritardare l’uscita e imbottigliare dopo almeno 12-18 mesi dalla raccolta.
Proprio il clima poco meridionale dell’Irpinia spiega il carattere del Fiano: gli inverni sono molto rigidi, durante l’estate c’è sempre una buona escursione termica, il caldo non è mai soffocante. Il vitigno si è così ben acclimatato in queste zone esprimendo nel bicchiere tutte quelle singolarità pedoclimatiche che rendono grande un vino e il suo territorio. Basti pensare alla valle del Sabato (Atripalda, Cesinali, Contrada, Manocalzati, ecc) dove terreni di medio impasto, tendenzialmente sciolti e con importanti componenti sabbiose danno vini di media struttura e acidità medio-bassa con esaltazione delle componenti fruttate e del classico sentore di nocciola; oppure la zona di Lapìo, dove estati calde e ventilate, con fortissime escursioni termiche, producono vini con una maggiore acidità e con note che sembrano ricordare i vitigni semi-aromatici dell’area alpina: erba appena tagliata, sambuco, anice e agrumi; ancora, la collina di Montefredane, unico vero cru del Fiano, dai suoli dalla forte componente argillosa arricchita da scisti e ciottoli, con vini di grande struttura e acidità caratterizzati olfattivamente da note minerali evidentissime; infine l’area di Summonte, dai terreni più calcarei che argillosi con vini tra i più concentrati ed alcolici della denominazione, e dalle evidenti note agrumate.
La capacità del Fiano di entrare in perfetta sintonia col territorio che esso abita è leggibile anche nell’epoca di germogliamento medio-tardiva (fine settembre/inizio ottobre) che lo pone al riparo dai ritorni di gelo che ritardano il risveglio del sole dopo il duro inverno irpino. Le escursioni termiche caratteristiche di questi luoghi permettono al vino di esprimere quella ricchezza di bouquet che lo rende un rappresentante importante dei grandi bianchi italiani. Tra gli aromi primari, quelli cioè tipici del vitigno d’origine, spicca inconfondibile il sentore di nocciole tostate, preservato nel faticoso cammino dall’acino al calice dalla grande cura nel raccogliere e vinificare solo le uve sane, ed esaltato dalla vinificazione in acciaio che illuminati imprenditori della zona hanno saputo far propria, pur nel rispetto di una tradizione millenaria. La ricca dotazione di terpeni dona al Fiano una lunga lista dei componenti floreali, che trasferiscono al vino una spiccata originalità varietale. Completano un quadro aromatico eccezionalmente ricco gli aromi di mela, banana, tiglio, rosa, menta, mandorla e miele. E grazie alla grande attitudine all’invecchiamento, il Fiano di Avellino si esprime “inventandosi”, dopo un giusto affinamento in legno, ammiccanti note di acacia, ginestra, pera. Tutto ciò ne fa una delle migliori scelte per accompagnare i piatti di pesce, soprattutto nel difficile compito di armonizzarsi con piatti impegnativi come quelli a base di crostacei e, rarissimo tra i vini italiani, si potrebbe osare perfino con le ostriche.
Risultati interessanti sono venuti negli ultimi anni dall’appassimento dell’uva o dalla raccolta in surmaturazione: si tratta di una grande novità in una regione dove il passito non ha mai avuto alcuna tradizione. Il Fiano è molto versatile a tavola e forse è proprio questa è la chiave del suo successo.
Rispetto all’annata 2006 che pur avendo avuto un andamento climatico altalenante (caldo misto a piogge intense) ha tuttavia consentito una corretta maturazione delle uve, la vendemmia 2007 è stata caratterizzata da una maggiore scarsità in termini di prodotto: infatti a causa delle condizioni atmosferiche sfavorevoli (caldo eccessivo) si è avuto una flessione produttiva del 10-15%, con acini inferiori alla media, polpa concentrata e, di conseguenza, gradazioni zuccherine più elevate. Paradossalmente, ciò ha dato equilibrio ai vini di queste zone, garantendo rispetto ad altri anni un frutto più pieno ed evoluto e una maggiore piacevolezza, in grado di sostenere le alte acidità che sempre penalizzano Fiano e Greco soprattutto nei primi mesi di vita. Di conseguenza, quasi tutte le etichette degustate hanno dimostrato un buon livello qualitativo attestandosi su livelli medio-alti a testimonianza della crescita di questo territorio e dei produttori che ne fanno parte.

Le mie degustazioni

1) Colle di San Domenico
Fiano di Avellino 2007
(81/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 12,5%
Da questa buona azienda fondata ormai una decina di anni fa alle porte di Montemarano, un Fiano dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso esprime aromi intensi e gradevoli che si aprono con note di mela e ananas seguite da leggeri spunti floreali di biancospino e ginestra. In bocca è secco, sapido, delicatamente caldo, di buona struttura. Buona corrispondenza gusto-olfattiva. Affina alcuni mesi in acciaio e in bottiglia.

2) Colli di Lapio
Fiano di Avellino 2007
(87/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
Nell’incantevole cornice della collina di Arianiello che domina la valle del Calore, prodotto dalla passione della famiglia Romano, troviamo una delle espressioni più autentiche di questo vino: giallo paglierino con riflessi verdolini, naso fine ed elegante, di buona complessità, con suadenti note fruttate di mela, melone bianco, agrumi raccordati da una grande mineralità. In bocca ti accoglie con piacevolissima freschezza, ma è il ritorno minerale in via retronasale a sublimarne originalità e piacevolezza, con una corrispondenza semplicemente perfetta con l'olfattivo. Il consistente nerbo acido e la buona morbidezza complessiva ne fanno un vino di eccellente equilibrio. Matura in acciaio sui lieviti per 4/6 mesi, e affina in bottiglia altri 6 mesi.

3) Benito Ferrara
Fiano di Avelllino 2007
(83/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
La famiglia Ferrara produce vino dal 1880. Otto ettari di vigne, tra i 450 e i 600 metri, su terreni strabordanti di mineralità, elemento caratterizzante i vini aziendali. Questo Fiano, dal colore giallo paglierino luminoso tendente al dorato, esprime profumi ampi ed eleganti dai sentori di nocciola tostata, ananas e rosmarino, con evidenti note fumè e minerali. In bocca è asciutto e vellutato con una delicata freschezza; lievemente ammandorlato nel finale. Matura 8 mesi in acciaio.

4) Antonio Caggiano
Fiano di Avellino Bechar 2007
(86/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
Antonio Caggiano è uno dei più importanti riferimenti della viticoltura irpina, in particolare per quanto ha saputo fare per l’affermazione del Taurasi. Il Bechar, “vento del deserto”, si presenta alla vista con un colore giallo paglierino; al naso si apre in un aroma complesso di fiori di zagara, frutta secca (mandorla e pistacchi) e spezie. In bocca è secco, fresco e di buona morbidezza, il tutto condito da un’ottima mineralità. Fermentazione in barrique per 6 mesi.

5) D’Antiche Terre
Fiano di Avellino 2007
(82/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 12%
Da una realtà consolidata dell’enologia irpina, presente in buone quantità in tutte le denominazioni, con 31 ettari di vigne di proprietà impiantati per la maggior parte più di 15 anni fa, un Fiano dal colore paglierino e dai profumi delicati, che si attestano su toni agrumati e piacevoli sentori di mandorla fresca e nocciola. Buona acidità e mineralità, con finale asciutto con leggere note floreali ed erbacee. Sosta quattro mesi in acciaio.

6) Struzziero Giovanni
Vigna Pezze Fiano di Avellino 2007
(84/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
I vini di Mario Struzziero, giovane viticoltore a Venticano di terza generazione, sono come i bei film in bianco e nero di una volta: non tradiscono le aspettative degli appassionati. Nel comune di Lapio, cuore della zona di produzione del Fiano, si trova la tenuta di Vigna Pezze da cui proviene questo grande bianco, dal colore giallo paglierino intenso, e un naso fine, persistente con sentori caratteristici di nocciole, albicocche e delicati rimandi floreali. In bocca mostra tutto il suo carattere: fresco, morbido e persistente, di buona struttura, con finale pieno e aromatico. Acciaio.

7) I Favati
Pietramara Fiano di Avellino 2007 (86/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%

Azienda giovanissima, che è partita dal solo Fiano con cui ha subito raggiunto ottimi traguardi per poi allargare la produzione agli altri vitigni irpini. Il Pietramara 2007 rappresenta una conferma in tal senso: di colore giallo paglierino cristallino, con profumi ricchi di fiori bianchi e gialli, frutti tropicali intensi e concentrati. All’assaggio esprime una netta freschezza gustativa e una mineralità tipica del vitigno. Macerazione a contatto con le bucce per 12-24 ore, almeno 3 mesi sui lieviti.

8) Di Meo
Colle dei Cerri Fiano di Avellino 2007
(86/100)
Bianco Doc - Fiano 100% - 13,5%
Quella dei fratelli Di Meo è una cantina con oltre venti vendemmie alle spalle e una produzione che spazia su tutte le denominazioni irpine. Il Fiano Colle dei Cerri è prodotto da una vigna a 550 metri di quota, piantata 10 anni fa e faticosamente imbrigliata a resa di 40 quintali/ettaro. E’ un vino dal colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso esprime gran carattere con sentori di frutta matura (mela e nespola) e nocciola tostata. All’assaggio è caldo, sapido e di buona struttura. Grande potenziale evolutivo. Fermentazione in barrique di Allier per 8 mesi.

9) Terredora
Terre di Dora Fiano di Avellino 2007
(87/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
Dalle migliori vigne di Montefusco, in località Montefalcione e Lapio, un grande esemplare di Fiano, dal colore giallo paglierino intenso, con eleganti e complessi profumi di frutti maturi e fiori, tra i quali sentori di pera, albicocca, agrumi, nocciola tostata, biancospino e acacia, ma anche con eleganti note fumè. Sorso di grande persistenza aromatica e buona mineralità, corpo pieno, morbido ed equilibrato. Può evolvere positivamente negli anni. Affinamento sur lies per alcuni mesi.

10) Feudi di San Gregorio
Pietracalda Fiano di Avellino 2007
(84/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
Dalle vigne di Pietracalda in Sorbo Serpico viene il cru di Fiano dell’azienda Feudi San Gregorio. Si presenta con un colore giallo paglierino cristallino con note verde acqua. Il profumo offre uno spettro di riconoscimenti che va dalle sensazioni mediterranee di fiori freschi di camomilla e di frutta appena colta a quelle di miele d'acacia. Al palato presenta note minerali e freschezza che bilanciano le tipiche note varietali di morbidezza del vitigno. Decisamente alcolico e strutturato con una buona persistenza aromatica evidente in sensazioni di pera matura e piccoli fiori di campo. Matura 6 mesi in acciaio con permanenza sui lieviti.

11) Vadiaperti
Fiano di Avellino 2007
(84/100)
Bianco Docg – Fiano 100% - 13,5%
In questo lembo d’Irpinia tutt’attorno a Montefredane, Raffaele Troisi ha prodotto questo Fiano di straordinaria personalità, dorato con riflessi verdolini, di notevole intensità olfattiva con note di mandarino, mela e margherita. Caldo, sapido e fresco in bocca, con una lunga persistenza su toni vegetali e di frutta bianca. Matura 4 mesi in acciaio.

12) Macchialupa
Fiano di Avellino 2007
(83/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
Nel comprensorio di San Pietro Irpino, Chianche e Cianchetelle, che da solo vale il viaggio, si produce questo Fiano, giallo paglierino luminoso, che al naso sfoggia una finezza e intensità di profumi con note di pesca bianca, frutta esotica, ginestra e fieno. Sorso caldo, morbido, di buon corpo, con adeguata freschezza e finale sapido e persistente, con piacevoli ritorni aromatici di frutta e mandorla. Affina 4 mesi in acciaio, di cui uno sui propri lieviti.

13) Fratelli Urciuolo
Faliesi Fiano di Avellino 2007
(85/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 14%
Nasce da una vigna nella valle del Sabato a circa 350 mt. di altezza da sempre di proprietà della famiglia Urciuolo su suolo argilloso e cretoso questo Fiano dal gran carattere e dai profumi molto intensi, su un registro prevalentemente floreale, con riverberi erbacei e quasi marini. I 14° di alcol si fanno sentire anche al naso, e ne penalizzano appena l’eleganza. Al palato è morbido e pieno: molto saporito, prosegue con una marcata mineralità e chiude sulla classica nota ammandorlata molto persistente. Macerazione sulle bucce per circa 24/48 ore. Affinamento sur lies per circa 5-6 mesi.

14) Marianna
Fiano di Avellino 2007
(81/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 12,5%
Da questa dinamica azienda irpina, una piacevolissima interpretazione di Fiano di Avellino, tradizionale e tipica, con un vino dal colore giallo paglierino con riflessi brillanti, profumi di frutta esotica, fiori e persistenti note minerali che riflettono il terroir. Al palato è secco e armonico con sapori di nocciola tostata e una rilevante sapidità con buona corrispondenza con l’olfattiva. Nel finale si colgono sentori di agrumi e note di frutta gialla. Sosta in acciaio per 4 mesi.

15) Villa Raiano
Ripa Alta Fiano di Avellino 2006
(87/100)
Bianco Docg - Fiano 100%, - 13%
Quella dei fratelli Basso è una delle realtà di punta della viticoltura avellinese che, sotto la guida enologica di Luigi Moio, propone sempre vini dalla spiccata personalità. Non fa eccezione questo Fiano, dal naso di piacevole complessità che si attesta su toni floreali tipici del fiano e sfumature di mandorla, nocciola tostata e frutta secca, il tutto ricamato da una buona mineralità. Caldo e di buona acidità. Matura per circa 8 mesi in barrique di rovere francese, poi 6 in bottiglia.

16) Mastroberardino
Radici Fiano di Avellino 2007
(89/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
La capacità di fare vini di territorio, peraltro in quantità consistenti, è uno dei principali meriti di Piero Mastroberardino. Si conferma con questa ottima interpretazione di Fiano, dal colore giallo paglierino, che sprigiona all’olfatto una moltitudine di aromi: pera, ananas, acacia, nocciola tostata, miele. Eccellente acidità e morbidezza, con iniziali sentori di pesca bianca e pompelmo che lasciano spazio a note di nocciola e una bella sensazione minerale. In acciaio. Affina in bottiglia 3/4 mesi.

17) Quintodecimo
Exultet Fiano di Avellino 2006
(86/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
L’azienda Quintodecimo nasce pochi anni fa da un progetto che coinvolge in prima persona Luigi Moio, enologo di altissimo livello e tra i più profondi conoscitori del terroir campano. Tra i vini prodotti il Fiano Exultet, di un bel colore giallo paglierino cristallino, anche se conserva una veste ancora "verde". Al naso è molto piacevole, dapprima erbaceo, poi maturo nelle sue sfumature di frutta esotica e agrumi con un netto e finissimo sentore di nocciola. Vengono fuori all’aumentare della temperatura anche note minerali. In bocca è fresco, abbastanza intenso e persistente, richiama una certa polposità del frutto. Nel complesso è un vino abbastanza equilibrato ed armonico. Buona capacità di invecchiamento. Matura 10 mesi parte in acciaio e parte in barrique, poi 8 mesi in bottiglia.

18) Torricino
Fiano di Avellino 2007
(83/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
L’azienda muove i primi passi all’inizio degli anni ’70, quando la famiglia Di Marzo diede avvio a una radicale revisione nella gestione delle vigne, oggi sviluppate su otto poderi nelle zone vinicole più vocate del comune di Tufo. Ed è proprio qui che si produce questo buon Fiano, dal colore giallo paglierino luminoso quasi dorato e dagli splendidi richiami varietali di mandorla amara, pesca bianca, ananas, agrumi e note erbacee. In bocca è freschissimo, con buona acidità e ottima mineralità. Matura 5 mesi in acciaio, sur lie.

19) Villa Diamante
Vigna della Congregazione Fiano di Avellino 2006
(91/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%
L`azienda Villa Diamante nasce con lo scopo di produrre vini di qualità ottenuti da uve, coltivate con il metodo biologico, esclusivamente di provenienza aziendale. I suoi prodotti si discostano decisamente dagli altri per personalità, struttura e longevità. Anche il cru di Fiano non fa eccezione: di colore giallo paglierino, al naso è accattivante aprendosi con sentori minerali e di pietra focaia, subito seguiti da note fruttate di agrumi, delicate note di gelsomino, sentori di erbe aromatiche e miele. In bocca si conferma freschissimo e sapido. La "grassa" presenza in bocca è bilanciata benissimo da una sapidità che rimane a lungo dopo la deglutizione. Lunga persistenza con ritorni di note di fieno, ginestra e note tostate. Maturazione di oltre 6 mesi in botti di acciaio inox.

20) Marsella Guido
Fiano di Avellino 2006
(88/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 14%
Guido Marsella si può definire senza ombra di dubbio un “artigiano” del Fiano: non perché non usi tecnologia in cantina, ma per il suo modo di intendere ed approcciarsi al vino che si può ritenere profondamente tradizionale. Prodotto da vigne di 15/20 anni di età, con rese bassissime, il suo Fiano si presenta giallo paglierino con note verdoline e riflessi luminosi. Al naso si apre subito con sentori di mandorla, nocciola tostata, pompelmo, cedro, erbe aromatiche e note minerali. In bocca il primo impatto è quasi morbido e dolce, poi la vena di freschezza inizia il suo lavoro e si annoda ad una mineralità mai eccessiva. Matura in acciaio.

21) Picariello Ciro
Fiano di Avellino 2006
(87/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%
L’azienda si estende su una superficie di 7 ettari di cui 5 coltivati a Fiano e gli altri due a bacca rossa, su terreni prevalentemente argillosi. Questo splendido esemplare di Fiano “di territorio” ottenuto da uve coltivate alle pendici del parco del Partenio, si presenta color giallo paglierino intenso; di ottima persistenza olfattiva grazie al lungo affinamento sulle fecce, con eleganti sentori di mela verde, agrumi, banana e ananas, note erbacee e tostate, e tanta tanta mineralità. In bocca è pieno, abbastanza morbido, fresco e di grande struttura. Finale lunghissimo con sensazioni amarognole e tostate. Matura per circa un anno in vasca di acciaio prima dell’imbottigliamento.

22) Di Prisco
Fiano di Avellino 2007
(87/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13%

Proveniente da una famiglia di imprenditori agricoli, dal 1995 Pasqualino Di Prisco è costantemente alla ricerca di terreni vocati alla viticoltura, dove grazie alle basse rese, alla maniacale dedizione e al rispetto della tradizione, riesce ad ottenere vini che rappresentano in pieno la sua terra, l’Irpinia. Ne è un esempio questo Fiano ottenuto da uve coltivate nel comune di Lapio, che si presenta di un bel giallo paglierino, con profumi intensi che si aprono con una nota minerale quasi sulfurea tipica del terroir per poi proseguire con sensazioni di pesca gialla, frutta esotica e delicate note erbacee. Sorso pieno e caldo ma non eccessivo, che lascia spazio alla sapidità e alla freschezza di questo vino, in un’interpretazione del Fiano classica e non commerciale. Di buona struttura. Tipico retrogusto varietale di nocciola tostata. Matura in acciaio per 6/12 mesi

23) Tenuta Ponte
Fiano di Avellino 2007
(85/100)
Bianco Docg - Fiano 100% - 13,5%

L’azienda si estende su una superficie di 35 ettari su terreni prevalentemente argilloso-calcarei nei comuni di Luogosano, Fontanarosa, Sant’Angelo all’Esca e Taurasi. I vigneti sono gestiti con allevamento a tennecchia, tecnica tradizionale della zona e cordone speronato. Il Fiano prodotto da questa azienda si presenta di un colore giallo paglierino intenso; buona la presenza olfattiva con eleganti sentori di frutta esotica, note erbacee e minerali. In bocca è caldo e di buona struttura, con prevalenti sensazioni di freschezza e mineralità. Finale con sensazioni caratteristiche di mandorla e nocciola tostata. Matura in acciaio.

giovedì 4 giugno 2009

In giro per la Valleè

Erano gli inizi di dicembre, in un giorno nevoso, quando arriviamo in Val d'Aosta, in quel di Aymavilles, delizioso borgo nelle vicinanze di Aosta. Lo spettacolo che si presenta dinanzi ai nostri occhi è meraviglioso: collinette innevate sulle quali si inerpicano vigneti a rappresentare l'eterna lotta tra l'uomo e la natura. L'immagine rende l'idea di come si vive il vino da queste parti, ma il fascino esercitato da questi luoghi resta indubbiamente notevole.
Seguendo lo splendido paesaggio ci ritroviamo davanti alla "cantina degli undici comuni", tipica realtà cooperativa della regione. Inaugurata nel 1990, la Cave des Onze Communes è una cantina che raccoglie e trasforma uve provenienti da vigneti di undici comuni del centro Valle d’Aosta, situati sulla destra e sulla sinistra orografica della Dora Baltea: Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Saint-Pierre, Villeneuve, Introd, Aymavilles, Jovençan, Gressan, Charvensod, compresi tra i 550 ed 900 metri sul livello del mare. Le uve sono conferite da duecentoventi soci che, da veri artigiani della terra, lavorano manualmente e con passione una sessantina di ettari di vigneti, estremamente parcellizzati, molti dei quali disposti su ripidi pendii, difficili da raggiungere ed impossibili da meccanizzare. Attraverso la loro opera, praticata nel pieno rispetto dell’ambiente, con un ridotto impiego di antiparassitari e con corrette pratiche agronomiche, i frutti giungono a piena maturazione concentrando nel succo l’anima della terra valdostana.
Il vino che abbiamo assaggiato è un Fumin, dall'omonimo vitigno autoctono: presenta un bel colore rosso quasi impenetrabile con bagliori purpurei, al naso dai toni scuri e vinosi emergono dapprima aromi di frutti di bosco e confettura di prugne e successivamente un sottofondo di liquirizia. In bocca è abbastanza fresco, dotato di buona acidità che si amalgama bene con la morbidezza frutto dell'affinamento in legno (12-13 mesi in carati di piccola capacità). Tannini vellutati ma un pò amarognoli.
Da abbinare sicuramente a carni grigliate, salumi o formaggi stagionati.


Valle d'Aosta doc Fumin 2006 (85/100)
Fumin 100% - 13,5%

Cave des Onze Communes
Loc. Urbains, 3 - Aymavilles (AO)
info@caveonzecommunes.it