sabato 29 agosto 2009

Grandi vini da piccole vigne - Castelvenere, 28 agosto 2009

Ieri sera sono stato a questa interessante manifestazione. La piccola cittadina di Castelvenere, nel Sannio Beneventano, secondo le statistiche il comune più vitato d'Italia, è diventata per tre giorni la "capitale" del vino con la XXIII Festa del Vino. Tra degustazioni sperimentali di falanghina, verticali di Taurasi, la piazza comunale è stata palcoscenico per l'evento nell'evento "Grandi Vini da Piccole Vigne", occasione per degustare vini di piccoli produttori, di quelli che hanno dietro storie tutte da ascoltare e dove la passione viene prima delle logiche commerciali.
Irpinia, Costa d'Amalfi, Casertano, Cilento, e giù fino al Vulture e alla Puglia: vini lontani dalle mode,
vere perle enologiche, prodotti in poche migliaia di bottiglie, e per questo difficili da trovare. Comincio il giro andando da Cantina Giardino, piccola realtà avellinese con un progetto originale (che mi riservo di approfondire in un successivo post) teso al recupero dei vitigni autoctoni, utilizzo di viti ultratrentennali, lavorazioni biologiche ai limiti dei "vini naturali", che pur non avendo vigne di proprietà produce vini interessanti e di buona qualità come il Tararà, greco in purezza che fa macerazione in tini di legno; ancora, un blend di falanghina, greco e fiano che invecchia in anfora per 6 mesi, oppure lo stupendo aglianico in purezza "Nude" da vigne di quasi 80 anni (avete capito bene!!). Trasferendoci in Costiera, una menzione particolare merita un'altra piccola realtà che produce vini bio: Monte di Grazia, in quel di Tramonti, dove vengono coltivati vitigni autoctoni quasi scomparsi tipici della tradizione vinicola campana (tintore, pepella, ginestra, biancatenera); viti ultracentenarie a piede franco, un magnifico terroir e la grande passione e coraggio di Alfonso Arpino rendono possibile questo piccolo miracolo enoico. Facciamo ora un salto nel Casertano, precisamente nell'ager falernum, alle pendici del Monte Massico, terra conosciuta già agli antichi romani e decantata da Plinio e Orazio, dove gradevoli sorprese sono stati Trabucco, con il suo Rapicaro, un Falerno del Massico dalla possente struttura, dai sentori fruttati e balsamici e i tannini poderosi, ma anche giovani e gradevoli scoperte come Capizzi, con il suo Don Gennaro (80% aglianico e 20% piedirosso), un Falerno old-style di buona personalità anche se con tannini un pò verdi e rugosi, o infine Zannini, con il suo Campierti, da uve primitivo, di buona morbidezza e sapidità e dalle evidenti note di frutta surmatura.
Attraversiamo la Campania e trasferiamoci in Basilicata, nel Vulture, tradizionalmente zona vocata per l'aglianico, dove però grazie a Michele La Luce, tenace vignaiolo in Ginestra, ho scoperto il Morbino igt, un eccezionale blend di moscato e malvasia. Solo 3.500 bottiglie di questo vino dai delicati profumi aromatici varietali, con una chiara matrice minerale figlia del terroir vulcanico e dalla piacevole freschezza gustativa. Finisco ritornando in Campania, e precisamente a Tufo, patria del greco, dove ha sede Cantine dell'Angelo, giovanissima realtà alla terza vendemmia (la prima è la 2006) che produce circa 4000 bottiglie provenienti da 5 ha di vigneti di proprietà sulla collina di Tufo su un terreno ricchissimo di zolfo. Il suo Greco è molto tipico, esprime mineralità, ma anche tanta freschezza e una buona struttura.
Un plauso in particolare al buon Mauro Erro e a Luciano Pignataro senza i quali tutto ciò non sarebbe stato possibile.
Alla prossima!!

domenica 23 agosto 2009

Il mito Chablis

Chablis rappresenta per lo chardonnay quello che la valle del Reno rappresenta per il riesling e Sancerre per il sauvignon blanc: la perfezione. La struttura geologica del terreno, il microclima e l'esposizione sud/sud-ovest dei vigneti regalano al vino una perfezione aromatica difficilmente riproducibile in altre zone viticole.
La storia del vino di Chablis risale all’anno 865 con la coltivazione della vite da parte dei moines di Saint Martin di Tours sulle due sponde della valle del Serein (il fiume che attraversa il villaggio). A quell’epoca e durante i secoli che seguirono lo sviluppo commerciale dei vini di Chablis fu importante grazie alle vie fluviali: trasportati per via terrestre fino ad Auxerre, i vini seguivano il corso dello Yonne, che raggiunge Parigi e quindi Rouen per essere portati verso i paesi del nord.
Con la rivoluzione francese le proprietà cambiarono mani, ma il successo era sempre là. Allora la superficie totale dei vigneti raggiunse i 38.000 ha.
La fine del XIX sec fu segnata dall’arrivo della fillossera che fece devastazioni e ridusse le vigne a nulla. All’inizio degli anni ‘60 la superficie del vigneto chablisien era inferiore ai 1000 ha, ma fu allora che la produzione dei vini a Chablis riprese il suo sviluppo con la meccanizzazione e la messa in atto dei sistemi di lotta contro il gelo (altra peste per le viti nella regione, combattuto con delle stufe “chaufferettes” che riscaldano i vigneti durante le notti più fredde). E' solo nella seconda parte del XX secolo che la fama di questo vino è rinata e per un buono motivo: la conferma cioè che l'uva chardonnay risponde al freddo terroir calcareo-argilloso della regione con aromi che nessuno finora è stato in grado di riprodurre in altre condizioni colturali.
La piramide di qualità degli Chablis è strutturata su quattro livelli e vede al primo posto la denominazione “Grand Cru” con i suoi sette climats, poi i 17 “Prémier Cru”, i “Petit Cru” e all’ultimo posto gli “Chablis”.
E' dal 1919 che si è stabilito infatti un consenso attorno ad un certo numero di crus che decenni di osservazione avevano promosso, e cioè: Vaudésir, Grenouilles, Valmur, Les Clos e Blanchot, a cui si aggiunsero nel 1938 Preuses e Bougros. L’appellation “Chablis grand cru” con i suoi sette “climats” (sottozone), assunse in questo modo la sua forma definitiva. Tutti e sette i climats si trovano infatti su un particolare terroir: le sol Kimméridgien che si compone in alternanza di strati di calcare molto compatto e di marne argillacee molto tenere che contengono gli organismi marini fossilizzati. Nell’era secondaria infatti il mare copriva la regione di Chablis formando nei suoi fondi dei sedimenti calcarei molto ricchi in conchiglie ed in particolare in una piccola ostrica a forma di virgola, “Ostrea Virgula” o “Exogira Virgula”. Alla fine del periodo giurassico, il mare scomparve, e l’era glaciale che seguì scavò valli negli strati sedimentari, formando l’attuale rilievo chablisien. Questo piano geologico porta il nome di kimméridgien per riferimento alla baia di Kimméridge nel sud dell’Inghilterra, il cui sottosuolo presenta le stesse caratteristiche. Ed è a questo suolo che i vini di Chablis devono il loro carattere minerale così particolare.
Tutti i Grand Cru sono situati in un unico blocco rivolto a sud e a ovest verso il villaggio di Chablis e il fiume Serein. Ciascuno dei sette ha un proprio stile e molti considerano Les Clos e Vaudesir i migliori.
Esprimono la loro classe dopo anni di affinamento in bottiglia e se conservati correttamente possono mantenere le loro eccellenti caratteristiche peculiari per venti o anche trenta anni.
Su questo stesso suolo si trovano anche le denominazioni “Chablis Prémier cru”. Nonostante esistano 40 vigneti appartenenti a questa denominazione, solamente 12 di questi sono considerati di maggiore prestigio: Beauroy, Côte de Léchet, Fourchaume, Les Fourneaux, Mélinots, Montée de Tonnerre, Montmains, Monts de Milieu, Vaillons, Vaucoupin, Vaudevay e Vosgros. Si tratta di quei Premier Cru situati sulla riva nord del fiume Serein che fiancheggia i Grand Cru e mantengono l'esposizione ottimale verso sud/sud-ovest.
Nella regione di Chablis si trova anche un suolo “d’àge portlandien”: più calcareo, poco argillaceo, e localizzato prevalentemente in pianura, i cui vini sono classificati in Petit Chablis e più di rado in Chablis. Si tratta di vini che hanno una piacevole eleganza, dal carattere più fruttato che minerale; certamente non in grado di confrontarsi con il passare degli anni e quindi da apprezzare nella loro freschezza giovanile.
Per quanto riguarda invece le caratteristiche del vino, lo Chablis si presenta con aspetti quasi tattili: è duro, scontroso, ma non ruvido; richiama le pietre e i minerali, ma anche il fieno verde. A tutto questo si accompagna uno strano e delizioso sapore acido e una sensazione minerale appunto, di silice, pietra focaia e ardesia bagnata, che lo rendono inconfondibile. Allo sviluppo di queste caratteristiche contribuisce anche la scelta di utilizzare contenitori in acciaio, con evidenti ripercussioni sull'ottima freschezza gustativa dei vini di Chablis.
Che cosa troviamo di Chardonnay?: le nota fruttate di mela, di pesca bianca, di agrumi e poi le note burrose e nocciolate.

La freschezza e la mineralità di questi vini li rendono adatti ad invecchiamenti da paura e quasi in grado di rivaleggiare con i loro "cugini a bacca rossa": ci sono leggende metropolitane infatti, che narrano di Chablis che, stappati dopo dieci anni, mantengono ancora un colore oro verde e un'acidità spaventosa da essere scambiati per vini appena imbottigliati...


venerdì 21 agosto 2009

Fiano Music Festival 2009

Vi segnalo questa interessante manifestazione in quel di Aiello del Sabato (AV), dal 28 al 30 agosto. Una tre giorni dedicata al fiano, nobile vitigno campano, con incontri, dibattiti, degustazioni e...tanta musica jazz!!













Pinot Bianco Schulthauser 2007 - S. Michele Appiano

Ecco qui uno di quei vini che, a ragion veduta, si possono annoverare tra i migliori esemplari di pinot bianco prodotto in Italia. Si tratta del weiss burgunder prodotto dalla mitica Cantina sociale di S.Michele Appiano, cooperativa altoatesina con numeri da capogiro: 355 membri, 350 ettari di terreno coltivato e 2,5 milioni di bottiglie vendute ogni anno. A dispetto dei volumi prodotti questa azienda ci regala vini di altissima qualità: basti pensare a tutta la linea Sanct Valentin, anche se si raggiungono buoni livelli di qualità anche nei vini base.
Terra di grandi bianchi la valle dell'Adige, dove le Alpi pongono un freno ai freddi venti del nord e i caldi venti del Garda provenienti da sud portano con se la necessaria umidità; e dove, la notevole escursione termica giorno/notte e estate/inverno esalta le caratteristiche aromatiche proprie dei vitigni. Al resto ci pensa un terroir prevalentemente argilloso seppure intervallato da piattaforme di porfido rosso. Il cru denominato Schulthaus si estende su di una superficie di 12 ettari caratterizzata da ghiaie calcaree su pendii leggermente orientati da sud a sud/est ad un'altitudine compresa tra 450 e 500 metri sul livello del mare in località Monte di Appiano. Nel microclima mite e ben areato crescono esclusivamente vitigni di Pinot Bianco sino a 40 anni d’età, quasi tutti sui classici impianti a pergola.
Dal genio del mitico Hans Terzer, inserito non a caso nella lista dei 10 migliori winemaker del mondo, viene fuori questo spettacolare capolavoro. L'annata 2007 si presenta con un colore giallo paglierino/verdolino tipico dei bianchi della zona. Il quadro olfattivo regala evidenti note floreali di glicine e ginestra, unite a sensazioni aromatiche più fruttate di pera e mela; successivamente vengono fuori anche sentori speziati e leggere sfumature affumicate. Il tutto con una delicatezza e raffinatezza che solo i grandi bianchi altoatesini riescono a dare. In bocca è ampio, sapido, fresco, vellutato e pastoso, sembra quasi accarezzare il palato con ritorni fruttati; ma soprattutto equilibrato, armonioso, perfetto e mai eccessivo nelle varie componenti gustative. Aristocratico ed elegante, anche se una piccola pecca bisogna evidenziarla: riassaggiato il giorno dopo l'apertura della bottiglia perde un pò di complessità gustativa. Breve affinamento in legno (botte grande). Eccezionale con gamberoni in salsa rosa.


Pinot bianco Schulthauser doc 2007 (89/100)
Pinot bianco 100%


Kellerei St. Michael-Eppan

Via Circonvallazione 17/19 - Appiano (BZ)

kellerei@stmichalel.it


sabato 8 agosto 2009

Lacrima Cristi bianco doc 2008 - Az. Iovine

Oggi ho avuto una piacevole sorpresa....il lacrima Cristi bianco della per me sconosciuta azienda Iovine. Il lacryma Cristi bianco viene prodotto alle falde del Vesuvio, i cui terreni donano al vino carattere, struttura e profumi inconfondibili. La fama di questo meraviglioso angolo di mondo e del suo vino ha fatto fiorire miti e leggende: "Dio riconoscendo nel Golfo di Napoli un lembo di cielo strappato da Lucifero durante la caduta verso gl'inferi, pianse e laddove caddero le lacrime divine sorse la vite del Lacrima Christi". Le uve utilizzate sono: falanghina, greco, verdeca e coda di volpe (localmente chiamata caprettone). Capisco quindi che mi devo aspettare un vino di una sapidità straordinaria legata al suolo vulcanico su cui cresce la vite. Dotato di un'ottima freschezza gustativa tendente in verità un pò all'acidulo e con una mole alcolica secondo me non perfettamente incorporata nella struttura del vino. Il colore è giallo paglierino con sfumature oro. All'olfatto è intenso, più verticale che orizzontale: persistenti profumi floreali prevalentemente ginestra (molto diffusa sulle pendici vesuviane) e di frutta a pasta gialla e ananas, su uno sfondo sapido che emerge già al naso e diventa ancor più evidente alla gustativa. Imperdibile con un risotto spigola e asparagi.

Lacrima Cristi bianco doc 2008 (85/100)
Falanghina n.d., Caprettone n.d., Greco n.d.


Az. Vini Iovine

Via Nazionale 46 - Pimonte (NA)
tel 081-8792123



venerdì 7 agosto 2009